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lirik lagu pula – pinguini tattici nucleari

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durante le notti irrorate di fulmini, i bambini kutu si radunano dentro la grande capanna del vecchio sciamano.
conosce tutte le storie esistenti, lo sciamano, ed ognuna è per lui come una preziosissima reliquia, che conserva gelosamente sulla punta della lingua.
c’è una storia però, una soltanto, che è in -ssoluto la sua preferita di sempre, quella che ancora oggi, dopo anni, ama raccontare, l’unica.

questa storia si chiama pula, ovvero pioggia.

in un tempo lontano, fatto di mostri ed eroi, viveva un umile agricoltore, dall’animo gentile e devoto.
possedeva un orticello di modeste dimensioni, che tuttavia bastava a sfamare la sua famiglia.
sua moglie non desiderava marito più ricco, i suoi figli padre più aitante e i suoi amici compare più onesto.
e a lui questo bastava per essere, in qualche modo, felice.
però, come in tutte le storie che si rispettino, ad un certo punto l’equilibrio si ruppe.
una crepa nel muro, un dente cariato, una candela che inspiegabilmente si congiunge al suolo dando vita all’incendio.
la stagione avanzava, e gli occhi dell’agricoltore ansimavano sotto il cielo silente.
il suo animo gentile e devoto si curvava sempre più, giorno dopo giorno, come una pianta frustata dal vento.
e una domanda scorreva nelle sue vene “dove è finita la pioggia?”

i giorni fedifraghi si avviluppavano sull’arido suolo senza che una goccia scendesse dal cielo.
allora l’agricoltore decise di rivolgersi ad un cacciatore, implorandolo.
“insegui una nuvola, catturala e portamela, come fosse un uccello, ed io ti sarò debitore.”
allora il cacciatore costruì un enorme gabbia e salì in cima alla montagna più alta.
attese, attese, attese, e finalmente una nuvola venne.
da dietro un cespuglio, il cacciatore gettò la gabbia sopra di essa, ma quest’ultima se ne sbarazzò facilmente, proseguendo il suo eterno viaggio.
il cacciatore ignorava che le nuvole sono come i ricordi, e decidono loro quando è il tempo di restare e quando invece è tempo di partire.

provò quindi a chiedere consiglio ad uno sciamano.
c’è forse un modo per cambiare questa mia sorte nefasta?
lavati col tuo sudore, così che gli dei possano soddisfarsi della tua miseria.
bevi le tue lacrime, così che gli dei possano gioire del tuo dolore.
cibati della tua saliva, così che gli dei possano divertirsi con la tua debolezza.
ma dopo dieci giorni, ancora la pioggia tardava.
iniziò dunque a circolare voce che l’umile agricoltore fosse vittima di una maledizione,
e tutti gli levarono il saluto, con la stessa malizia mascherata da saggezza con cui si leva un giocattolo ad un bambino.
l’umile agricoltore perse ogni speranza, nascose i propri occhi tra le mani e decise che non li avrebbe mai più riaperti.
sarebbe morto così, e i suoi figli l’avrebbero ritrovato esattamente in quel modo.
fu a quel punto che lo sceneggiatore di hollywood si fece avanti.
“io vengo da un paese lontano” disse, “e di certo le nostre vite sono molto diverse, così come i problemi che ci affliggono.
ma io conosco la soluzione al tuo, e te la posso svelare”.
gli occhi dell’agricoltore riemersero dal mare delle sue mani, lo stava ascoltando.
“vedi, è semplice. basta che guardi dritto in camera, ed esclami queste precise parole: ‘non potrebbe andare peggio di così'”.

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