lirik lagu psychogrotesque iv – aborym
sono sporco. i pidocchi mi rodono. i porci, quando mi guardano vomitano.
le croste delle labbra hanno squamato la mia pelle, coperta di un pus giallastro.
non conosco l’acqua dei fiumi né la rugiada delle nubi. […]
i miei piedi hanno messo radici nel suolo e compongono, fino al ventre,
una sorta di vegetazione viva, piena di ign-bili par-ssiti
che non è più carne e non deriva ancora dalla pianta. eppure il mio cuore batte.
ma come potrebbe battere se la putredine e le esalazioni
del mio cadavere non lo nutrissero in abbondanza?
sotto l’ascella sinistra si è stabilita una famiglia di rospi
e quando uno di essi si muove mi fa il solletico
state attenti che non ne scappi uno e non venga a grattarvi con la bocca
l’interno dell’orecchio: poi, sarebbe capace di entrarvi nel cervello
sotto l’ascella destra c’è un camaleonte che dà loro una caccia perpetua
per non morire di fame: ognuno deve vivere
ma quando un part-to sventa completamente le astuzie dell’altro
non trovano di meglio da fare che lasciarsi in pace a vicenda
e succhiano il gr-sso delicato che mi ricopre le costole: ci sono abituato
una vipera malvagia ha divorato la mia verga e ne ha preso il posto
due piccoli istrici, che non crescono più, hanno gettato a un cane,
che non ha rifiutato l’interno dei miei testicoli:
e si sono sistemati all’interno dell’epidermide, lavata con cura…
l’ano è stato intercettato da un granchio; incoraggiato dalla mia inerzia,
con le sue chele fa la guardia all’ingresso, e mi fa molto male!
non parlate della mia colonna vertebrale, perché è una spada
desiderate sapere, non è vero, come mai sia piantata verticalmente nelle mie reni?
neppure io lo ricordo molto chiaramente.
tuttavia, se mi decido a considerare un ricordo ciò che forse non è altro che un sogno
sappiate che l’uomo, quando ha saputo che avevo fatto voto di vivere con la malattia
finché non avessi vinto il creatore, camminò, dietro di me, in punta di piedi,
ma non così piano da non essere udito
non percepii più niente, per un istante che non fu lungo.
questo pugnale ac-minato penetrò fino all’impugnatura tra le due spalle del toro delle feste
e la sua ossatura fremette come un terremoto. la lama aderisce con tale forza al corpo
che nessuno finora è riuscito ad estrarla: gli atleti, i meccanici, i filosofi, i medici…
hanno tentato, volta a volta, i mezzi più diversi
non sapevano che il male che l’uomo ha fatto non può essere disfatto
viandante, quando mi p-sserai accanto, non rivolgermi, te ne supplico
la minima parola di consolazione: indeboliresti il mio coraggio
lascia che io riscaldi la mia tenacia alla fiamma del martirio volontario… vattene
posso ancora fare un’ escursione fino alle muraglie del cielo
alla testa di una legione di -ss-ssini
e tornare ad -ssumere quest’atteggiamento per meditare, di nuovo
sui n-bili progetti della vendetta
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