lirik lagu ella non sa, se non invan dolersi – andrea gabrieli
ella non sa, se non invan dolersi
chiamar fortuna e il cielo empio e crudele
perché, ahi lassa! dicea non mi sommersi
quando levai ne l’ocean le vele?–
zerbin che i languidi occhi ha in lei conversi
sente più doglia, ch’ella si querele
che de la passion tenace e forte
che l’ha condutto omai vicino a morte
così, cor mio, vogliate, le diceva
dopo ch’io sarò morto, amarmi ancora
come solo il lasciarvi è che m’aggreva
qui senza guida, e non già perch’io mora:
che se in sicura parte m’accadeva
finir de la mia vita l’ultima ora
lieto e contento e fortunato a pieno
morto sarei, poi ch’io vi moro in seno
ma poi che ’l mio destino iniquo e duro
vol ch’io vi lasci, e non so in man di cui;
per questa bocca e per questi occhi giuro
per queste chiome onde allacciato fui
che disperato nel profondo oscuro
vo de lo ’nferno, ove il pensar di vui
ch’abbia così lasciata, assai più ria
sarà d’ogn’altra pena che vi sia. –
a questo la mestissima issabella
declinando la faccia lacrimosa
e congiungendo la sua bocca a quella
di zerbin, languidetta come rosa
rosa non colta in sua stagion, sì ch’ella
impallidisca in su la siepe ombrosa
disse: non vi pensate già, mia vita
far senza me quest’ultima partita
di ciò, cor mio, nessun timor vi tocchi;
ch’io vo’ seguirvi o in cielo o ne lo ’nferno
convien che l’uno e l’altro spirto scocchi
insieme vada, insieme stia in eterno
non sì tosto vedrò chiudervi gli occhi
o che m’ucciderà il dolore interno
o se quel non può tanto, io vi prometto
con questa spada oggi passarmi il petto
zerbin la debol voce riforzando
disse: io vi priego e supplico, mia diva
per quello amor che mi mostraste, quando
per me lasciaste la paterna riva;
e se commandar posso, io vel commando
che fin che piaccia a dio, restiate viva;
né mai per caso pogniate in oblio
che quanto amar si può v’abbia amato io
non credo che quest’ultime parole
potesse esprimer sì, che fosse inteso;
e finì come il debol lume suole
cui cera manchi od altro in che sia acceso
chi potrà dire a pien come si duole
poi che si vede pallido e disteso
la giovanetta, e freddo come ghiaccio
il suo caro zerbin restare in braccio?
sopra il sanguigno corpo s’abbandona
e di copiose lacrime lo bagna;
e stride sì, ch’intorno ne risuona
a molte miglia il bosco e la campagna
né alle guancie né al petto si perdona
che l’uno e l’altro non percuota e fragna;
e straccia a torto l’auree crespe chiome
chiamando sempre invan l’amato nome
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