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lirik lagu geremiadi – miike takeshi

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[strofa 1]
dove andare se il p-sso soppesa morale
contesa ancestrale del perno centrale
della motilità del nervo, servo
infervorato urla la p-ssività di un protervo
eterno presente, fermo immagine rappresentante
il contegno di un salice dormiente, dorme il niente
inteso come -ssenza ma tale aleatoria
dà oratoria di parvenza dell’evoluzione della storia
in gloria di decadenza
membra e organi in giacenza ebbra
conca del dissapore di sapor amaro
a meno che ameno baro del consueto
ignaro non deformi la forma del cimelio più raro
irrorando le crepe perse
nell’estuario dai letti venerei
venerei veridica casa silente
se lente le morti costruissero
le sorti di mormorii marmorei
e pendente, oscillante come un andante
il peso stringente divenisse liberazione
di una ragione vibrante nell’aria a frequenze
b-sse, -ssaporate per un istante al fermo respiro
prima che il destino chiuda i battenti pesanti
e sull’attenti scemante, antinomia dissacrante
delinea il ghigno sempreverde
di un ciglio abbandonato al vento
figlio illegittimo, esizio sedizioso di volontà
di un oltre-poco-troppo
stropicciato e gettato nei cesti dei domani
p-ssati, e dimentichi d’esser stati a tirar alito
adirato a dir atono godimento di bastimenti affondati
strutturalismo del principio ultimo
struttura del caso, caos a naso, sotteso a pulpito
a far di verticalità orizzonte, donde ombre siglan nome
a mo’ di morte, colme di funerali a monte
boicottati e quindi a concetto
non certo certamente dissuaso a divenir concerto
con certo riguardo verso le anime del vestimento
fendente l’aria discolpantesi nel silenzio

[strofa 2]
stoicheion dell’episteme
sussurrata da surrogata laringe che vince
conflagrazione innata
tra l’uno e il suo multiplo che è uno
illuso, lusingato da un sorriso tirato all’estremo
tremolante e slabbrato
che dipana anatomia malata
caduca caduta nel ventre della mente più acuta
cullata da un crocchio di verbi abbarbicati nel crocicchio
tra carotide e pupilla ritratta attratta da un cocchio
lambente le strade dello sfinimento
filamento sottile, corda vocale
in sororale rapporto col pentimento
decodificazione di un io-palazzo
azzoppato dalla sua stessa decifrazione
liso l’arazzo, rifrazione nel p-ssaggio
tra immagine astratta nel concretarsi
e poi all’inverso disfatta nel decretarsi disgregazione
disfarsi d’orpello tutto
tuttologia del costrutto distrutto
in ultimo appello modulato, inconsulto latrato
oasi d’asimmetrica riproduzione
del tatto sottratto all’immatricolazione del constatato
in asintotica capacità di verità sinottica
poiché è tutto e niente
e la pinza sul dente sente anch’essa d’esser ente
necessario al polo opposto
appositamente esposto sugli scaffali del mostro
d’ostracismo vittima
e deposto dai troni eterei
ma composto, composito di purezza
lui unico di limpidezza intriso
arriso dal nulla inciso sulla carne
a decantar arte, artefice della propria uccisione
corrono le viscere lontane dalla magion propria
ragion obliata, demistificazione
del colosso, ossario
abbandonato a far del vento glossario
eternato immanentemente
permane nei ricordi dell’universo
sorretto attentamente e minuziosamente
descritto discretamente
come un incl-to relitto, riletto cautamente
seppur esso non

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