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lirik lagu il cello obliato – miike takeshi

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[strofa 1: miike takeshi]
letto, disfatto oblio, per un relitto
intatto afflitto da un sottratto disìo
il tatto, perso, l’animo verso un contatto
simile a un distratto converso a dio
avverso, al mondo fisico in bilico costante
concretezza dell’istante acritico
e la sicurezza altalenante
le albe fin troppo scialbe, lo resero più cinico
satirico il caso oppure il fato insicuro
che ha affossato il futuro con un afflato
sicuro, prodigio dell’artificio meno umano
che doveva alla sua mano il suo prestigio
si destreggiava, su quattro corde
una c-ssa di legno e un arco con cui disegnava
movimenti da cui sfociavano note
devote che mutavano i sentimenti
in istanti vibranti, melodie fantasie per astanti anelanti elegie
per lui apologie di una natura vittima
della più pura stortura e demagogie
-n-logie con la maieutica
faceva riaffiorare ogni sensazione più ermetica
qualità terapeutica, dove l’oggettività
lasciava spazio alla personale ermeneutica
ma ora, ogni ora lo divora nel suo loculo occulto
sokurov, voce sola
nella sua dimora dimorava un culto
ora un attimo connesso alla memoria è un represso singulto
disteso, paralizzato e inerte
sconfitto da una malattia a cui neanche le menti più esperte
trovarono rimedio, solerte tedio
il gramm-f-no non suona da quando l’odio è un -ssedio
dissidio verso ciò che prima era linfa vitale
ora una ninfa mortale l’ha mutato come ovidio
erma salma, per cui il solo suono di una nota è un solenne omicidio

[ritornello: ronny hood]
è fredda la sua mano, nella mente frammenti di morte
il pentagramma è vicino ma lontano sente a stento le sue note
è fredda la sua mano, nella testa una melodia che lo incantava
paradosso arcano, la sua mente stritolata dalle corde che suonava

[strofa 2: miike takeshi]
scorreva il tempo, non si accorgeva nemmeno
che non coglieva appieno la realtà ma a stento
chi lo curava osservava un volto livido
smorto, con brivido e sgomento
presentimento di un cedimento mentale, -ssente o distante
ma nell’istante in cui dista lande il suo stato cerebrale
è in totale fermento costante
vide lei, illusa musa ant-tesi della controparte disillusa, kol nidrei
l’opera che lo rese celebre nell’etere della musica che ora ricusa
eterea ancella, i suoi occhi intorpiditi
erano meno scipiti di chi vede ma cancella
persi in un puro mare bianco
avversi all’oscuro tersi sommersi dal loro manto
lì accanto, in un angolo impolverato
lasciato al suo destino un pianoforte abbandonato
lei, vi si sedette, quella figura minuta lì seduta
pareva toccare vette inarrivabili
premette i tasti, esecrabili per colui che si ricredette e dovette
lasciarsi trasportare dalle cadenze
speranze ritrovate delle meno sospette
iniziò a sudare, quel corpo morto
e ormai sepolto ora pareva tremare
si mosse tra grida represse
si commosse e ne sgorgarono lacrime sommesse
lei si volse, la musica continuava, ma lui non colse e si erse
come fosse reale ma comprese ed alla fine, ella si dissolse

[ritornello: ronny hood]
è fredda la sua mano, nella mente frammenti di morte
il pentagramma è vicino ma lontano sente a stento le sue note
è fredda la sua mano, nella testa una melodia che lo incantava
paradosso arcano, la sua mente stritolata dalle corde che suonava

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