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lirik lagu il faretro – miike takeshi

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[strofa 1: miike takeshi]
a guisa di roccia, -ssisa sulla spiaggia
a far bisboccia con i venti ridenti sulla pelle recisa dall’onta
decisa dall’infausto seme di chi fecondò l’esausto
pianto che destava la speme
gemente, agonizzante il ventre nel quale
vi s’introdusse nolente la vita che cantò ammaliante
il carme dell’alme invereconde
ove l’amore filiale fu bastonato da rubiconde
immonde guance, tempio un tempo di puri
e immaturi baci la cui età elargiva come alimento
alito spento, nel momento in cui il fiore sbocciò sul petto
costretto dal negletto furore
di quelle membra, che furono l’affetto che la mente tempra
e rimembrano della pelle il sopore
amaro il sapore, di quella notte abietta
che dalle brocche del padre versò nepente sul cuore
ed il suo cantore, lui, che la permeava d’illusione
nei giorni non più uniformi porgendole ardore
luminoso come il sole nell’etra, fu ottenebrato da brume
proibendogli di suonare la sua cetra
lei, lo osservava cercando comprensione
in quelle labbra che furono apoteosi di perdizione
ma esse tacevano ignare ed ignave
fu l’amen dell’ade, rendendo le mani laide
e provandone repulsione
iniziò a trasfigurare la purezza di un’accortezza
che ora spezza i legami trovando ogni allusione
al padre, suo detrattore
sovrappose i gesti ant-tetici
simmetrici in volontà e mistificazione

[strofa 2: miike takeshi e max disli]
era sola, la sera, la luce acceca
recandovi la carne per mostrare le palme all’umanità intera
del faro la vitalità, che segna la rotta a impavidi naviganti
brancolanti nell’oscurità
l’amante scoperte le carte comprese
che l’odio è causa di tali offese
che la morte ha braccia tese per consolarti
e corse a far le spese di incomprensioni e pianti
trascinava il corpo esile, esule
fuggevole e fievole ed insicuro come il ricordo
fine a sé stesso, se anche il vero amore è un’illusione
al nulla imperante e indefesso
stanche le gambe, ma forti motivazioni
completavano i rumori di p-ssi e respiri
l’amore non è essere ispirazione
ma ispirazione d’essere in concetto d’espansione
febbricitanti le vene chiedevano requie ed ossequi
sui polsi elargirono fiumi allietanti
liete le terga poste su braccia stanche
il peso degli abbracci che mutò in un istante
dal picco osservò il suo letto
mani poste sul petto e stretto il ventre
cosciente, lo lasciò non più costretto
lentamente si gettò, mare freddo e cuore ardente

[strofa 3: max disli]
è un gioco un po’ strano pensò
quando con la mano calda la sfiorò
non c’era preoccupazione in quei volti seppur scossi
la timidezza non fa sconti
e l’accortezza mostra gli occhi di ciechi
p-ssione di corpi uniti, e di urli che son echi
porli come rimedi sono affronti
son misteri per le orecchie dei sordi
e per i polsi con segni di rimorsi
morsi sulla pelle indelebili
come le stelle di quella sera, lei era
ciò che mutava e pervadeva l’anima di chi prega
peccato che arreca ad anima arresa
che ora scorge dal lato del mare le spoglie che tocca cogliere
fredda fu la parte dell’amore che fu morte
ora a braccia aperte implorava con i perché
il cielo di un colore che era ad arte del fato
lo specchio dell’animo di un uomo disperato
s’accorse che la luna, è gialla come un lume
e che non sbagliò se s’abbagliò con la luce
lacrime di clessidra sgorgano
in un mare troppo grande per scovarne le sue colpe
orme sulla sabbia, la rabbia fatta resina, l’anima non si leviga
l’ambra a incastonare il cuore di chi medita

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