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lirik lagu in corpore – semicronici

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[axiom]
faccio due passi e ripasso me stesso
incrocio i volti, sconvolgo i sorrisi
strofe che misi a perire con versi
dei quali converso parlando di crisi ed invisi

[h*ll’o’him]
serotonina
nettare dolce, la voce che presto
diventa dottrina per l’uomo perduto
che muto trascina se stesso

[axiom]
la collera guida il mio volto
è un treno che oggi ho mancato di molto
mi sento al di sotto delle aspettative
che prima reprimo e domani sconforto

[h*ll’o’him/axiom]
perditi in grida perverse
non riesci a distinguere *rg*smo e dolore
***
se questo è il tepore che mi offrirà serse
saremo connessi, miasma e il suo amore

[h*ll’o’him]
getta il passato via nel vento
adrenaliniche ore in cui quasi mi pento
e questo sentimento
lacera e macera lento
[axiom/h*ll’o’him]
mento a me stesso, un trabiccolo
timido relitto di quando ero piccolo
***
nego purezza bruciando
il mio corpo che passa da questo comignolo

[axiom]
servono le sculture di carne dove racconto poetiche da sballo
con corpi di marmo
che accorpo a me stesso da rivolo intermesso
un torrente che non sfocerà è un rigido gesso
sono stupendo ma decadente, sono rifrangente
di un frangente che ricordo con un gesto
succede perché guardo le mani corrugate dalla gente
che poi attentamente mi spoglia del resto

[h*ll’o’him]
guardami
sono la soluzione ai tuoi monologhi
trattienimi
se ti percuoto quando tu mi provochi
o non farlo
ammira mentre folle mi consumo
amare ciò che faccio è dura e
ancor più duro n’è il digiuno
il braccio sanguina copioso, a terra si forma un lago
macabro prezzo che pago perchè dentro mi entri il drago
cado al suolo con un tonfo sordo, in mano dello spago
per legarti mente e corpo e penetrarti come un ago
ah, dolce questa corruzione, scorre nel mio plasma
divora la mia anima finchè muto in fantasma
cupo ricordo di un’esistenza passata cercando
(un) vano motivo per una vita passata nel pianto
[axiom]
frattanto che cerco gli obelischi si assestano
i miei dischi fatti di intergalattici sismi
compatti i contatti che ho tratto dai prismi
che io non riconosco, ritraggono artisti
ricadono dei pezzi, non sono soporiferi
i tentativi maldestri, moventi veleniferi
che adesso mi rapiscono, colpisco gli arti inferiori
sono moti genuflessi interiori

[h*ll’o’him]
santo sia colui che massimizza il suo ego
in un costante diniego di un costante ripiego
e nonostante l’impiego devastante di un’eco
nelle stanze mi reco e dolorante mi piego
troppe volte la ragione mi trattiene con catene amare
prigioniero fragile dannato nei suoi dubbi
getto le mie vecchie convinzioni dentro a nere bare
presto seguiranno le mie orbite e i miei bulbi

[axiom]
pulpito disegna il mio cadavere che sedimenta
come rumenta che mentirà sopra le fondamenta
sentimenti che reprimono, che arrivano al mio corpo
se non me ne accorgo scorgo una giumenta
tamponando le ferite che riporto sull’asfalto
come scrivere le rime del decesso
mi sono concesso sulla base di questo pretesto
ma d’un tratto mi sentirò più alto
è un tratto di reminiscenza, una presa di coscienza
dal suolo che diviene marcescenza
sono poco diligente, il passaggio iridescente
mi guarda come ogni discendente
come distese immense su un lago ostenso
increspano la mimica imitando un ossesso
come fosse sesso praticato da un astante
costante, racchiude la mia anima nel glande
[h*ll’o’him]
accartocciato sopra questo letto sputo le mie pene
vani sacrifici ad un momento di splendore
spesso mi stupisco se per caso non avviene
dentro un orifizio questo dolce oblio del mio dolore
forse non varrà la pena per questi attimi fugaci
di celarsi tra le ombre per scambiarsi cupi baci
pena e miseria di un uomo vacuo
io svanirò nell’aria quando muterò in putrido fuoco fatuo

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