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lirik lagu (pre)cedere – semicronici

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[axiom]
mentre notavo un segnale di fumo che dipingeva sopra i capi le gote
tenevo da parte una parte integrante di questi pensieri con teste contorte
tertulliano quando io m’interrogo scolpendo su roccia punti in comune
remunero prezzi attraverso i vezzi che mi versano eventi, verso le lune
imperituro, mi sento quasi catturato in senso lato dalle dune
ne dubito fortemente, una spina dorsale tagliente fa perdere il lume
adesso mi siedo, io non ti vedo, decanto il tuo siero che mi sederà
rasente il decesso, sarò io stesso a guardarmi indietro dentro un’agorà
rapido incontro, troppo lento, lo riscontro, troppe domande irrisolte
risolvo la notte, mi passa sopra l’alba che balla nel calore di molte
volte dissolte, frantumo i vetri che copr*no il capo, color cinabro
come la brocca di veleno che ci racconta i momenti caduti nell’amo

[h*ll’o’him]
nuoto, nel vuoto cosmico tra lune impure
mentre muovo davanti agli occhi le nostre paure
cerco con gli occhi quella musa inerme sotto i colpi
dati senza alcuna grazia da guerrieri morti
sotto questo cielo che piove disgrazia sui nostri sorrisi
persi in un passato torbido tra i fiordalisi
vivo senza meta su una terra che poco m’allieta
e cheta mi sussurra nell’orecchio “sii un anacoreta”
forse è per questo che mi isolo con gli acidi
mi sono scelto nemici molto coriacei
ma spesso trovo più senso negli infiniti frattali
se osservo corpi di angeli a cui han strappato le ali
[axiom]
addormento gli spiriti che suggeriscono di essere miei alleati
tuttavia altrettanto furtivamente mi feriscono, insistono sulle mie sistole
mettono in lista qualunque mio sfregio, regio di un trono pieno di reati
il mio nome sarà scritto con sangue di satiro, d’indole sarò temistocle
la mia piramide punge alle basi, non tanto per lirica, per uguaglianza
mentre trafigge le fitte confitte sonanti che urlano nella mia stanza
dimmi chi si alza, chi è zelante nel fare di un titolo la sua finanza
quando sulla mia schiena diventa universo nevrotico questa mia danza
la tracotanza con cui abbiamo fatto l’amore si nutre di un seno biforco
questo linguaggio bifolco figura un presagio terribile, se sarò morto
torno a quel torpore se il livore del liquore rincuora l’odore
recidi le gambe del mio rigore ma riforma il dolore, forma e dolore

[h*ll’o’him]
unione di sguardi, arcane antitesi fuse nel tempo
di duemila assalti, quando lottiamo nel lembo
lontano protetti dai dardi scagliati da spiriti
caleidoscopio di grida incredibili
stiamo rendendo quei sogni possibili
lì strapperemo dai regni più empirici
lacrime amare, forse, ma piango davanti al destino che veloce corse / troppo
rattoppo i miei resti mangiati da qualunque intoppo
cado di sotto, ardo di botto, dopo mi spengo
piove a dirotto, dove ha condotto questo complotto da cui mi astengo?
provo amore per la mia miseria, fulgida seduce
mentre attendo invano di capire dove mi conduce

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