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lirik lagu giullari – somarionda

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simo ricciardi:
dat aora en anante l’emperator, lo papa et li principes civitatis estabilises che de sorva el poder et alli homines sancti in burla manera no se puote sblaiar et giastemare et inharmonie
inmunde bibrare. codelo tipo de simia homines, como blateri istriones, ioculadores, claudi, manci et aotra specie meretrices, sgami de lo tempo de iusto cristianis et cultores diaboli qui eos at tali peccatum mirari
serà reo de verbera et catigato par mortem avec lazo si dominus placet. en vexe codeli chi cantan et exaltan gesta principum et vita sanctum et fascio superhomines grata sunt porchè exortan lo poder ad continuo infinitum

othavio:
noi vecchi rimasugli di una vecchia banda diavola
cagati qui così, ad azzardar di sopravvivere
e più inveiamo il cielo più faville lui rimanda
a maledirlo ancora, senza una battutaccia
con cui poterlo deridere
gobbi con la faccia verso terra
schiena al sole e dai di vanga
e se ci scappa una preghiera non è a ricucire l’anima
ma per la tirchieria carogna
di vostra signoria che sia magnanima e qualcosa a noi rimanga scampati dalla gogna per un pelo
espiamo col lavoro tanta pena
che l’arte nostra fu comunque vista a stregua di elemosina
e così tanto zozza e oscena da meritar censura
dannato il giorno in cui facemmo abiura
mandando tutto in vacca, giurando
la rottura con l’usanza che ci destinava curvi sulla zappa
e risero di noi chiamandoci fratelli
allattati da medesima follia baldracca

[bud lee scratch]
rispondemmo con più vanità
raccattando un poco d’arte in sacca
fummo girovaghi con facce come il culo e con lingue da acrobati
sfoggiando acerbe abilità per qualche piazza
finché la vocazione mise ognuno sulla propria traccia
chi si invaghì delli denari, chi di una madonna pazza
a chi il sapere picchiò in piena faccia
schiaffo che zittisce chi s’azzarda
quando incontrò i soprusi del castello
il suo potere ed il bastone di chi stava farne guardia
ci fu chi s’appuntì negli occhi e negli scritti
nei villaggi corse voce dei misfatti perpetrati ai piani alti
s’indignavano i bigotti però altri aprivano il borsello
e ne giovammo tutti quando facevam cappello
fu per tenerci zitti che il castello
si adoperò col più feroce tra gli editti
inviò un vassallo con l’arringa
che ci condannava ai giorni della cinghia
e se non fu la fine dei cantori scimmia
a noi ha pensato il tempo ad amputar la lingua
le anime più accorte invece si trovano pr*nte
confessarono gli sbagli
un tocco di cerone, un berretto coi sonagli
e furono buffoni a corte con garanzia sul reddito
ciò ha fatto scuola a chi è venuto al seguito
adesso che fiumane di arlecchini in movimento
sognan d’allietar signori tra pregiati vini e candelabri argento
al castello fan la questua, pr*nti a mutilar l’orgoglio
purché cali il ponte levatoio

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