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lirik lagu l’universo è negli occhi – swelto

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[strofa 1: carlo corallo]
dalle campagne campane, sentii campane cantare, lontane
nel mentre il sole calante sopra il c-n-le
unico mare mondina, ferma il sordina
colma l’antica, sale e oliva
una sardina all’ortica condita col pane
e ti chiamavo all’altare
poi partiva di prima il rottame
quando la primula priva la vivida natura
ligne è una linea che confina via la vigne
la gramigna tra ogni villa oltre la via maligna di catrame
dovevo lasciare tetra quelle persiane e allenarmi
ma per un uomo voltato alle arti
una chiamata alle armi
rende alienanti tutti i sogni di notte ispirate
dovevo respirare e allietarmi
verso i laghi ed i falchi, le scarpate scalate dai fianchi
a risuonare canzoni amare stonate dai fanti
mentre i tuoi ritratti, a tratti pallidi e ristretti
hanno ancora quei tuoi difetti
ma sempre meno dettagli
disegnarti, aiuta a cancellare il magone dai viaggi
e se una banda di briganti, mattone e bavagli
rapin-sse il vagone e bagagli
saprebbe perché non ho milioni e diamanti
ma il tuo maglione davanti
da distanti, si spiega l’amore con le vertigini
vuoi che luoghi di 100 metri, restino a centimetri
e in quello spazio che c’è, tra i fogli e le lettrici
quello da cui ti accorgi delle lentiggini

[ritornello: swelto]
tu che fine farai
non voltarti insieme a me
so che se lo vorrai
mi amerai in solitudine
l’universo è negli occhi
orbitiamo distanti
superando quei blocchi
solo per incontrarci

[strofa 2: swelto]
questo cielo è pieno di navi
ti pensavo spesso mentre a casa tornavi
c’è chi affronta onde, tempeste e tornadi
tu avevi scritto in fronte tutti questi segnali
con un inchiostro che si illuminava solo al buio
la brezza trasportava mari sotto al plenilunio
prima che la riva ti port-sse quell’insicurezza
senza prendersi la briga di metterci una pezza
per coprire i tagli, una gelida carezza così non ti scaltri
come le acque negli abissi, avevi scrigni chiusi
ma chi esplora, può colpirsi con pensieri intrusi
uno dietro l’altro, rapidi colpi di un uzi
dopo l’attentato di parigi, primi sogni cupi
ti svegliavi in piena notte dentro quei dirupi
nei giorni ingialliti di una vita che ripudi
dopo quattro anni, sei lì ancora in terapia
io che avrei voluto prenderti e portarti via
portarti su una stella senza lasciare la scia
spegnendoti per sempre la tua agorafobia
ormai non provi niente, ogni distanza è un’utopia
resti bloccata nel tuo salvagente
con il broncio e le braccia conserte
nell’eterno limbo del presente, afferro la tua mano
il tuo mondo, mai stato così lontano

[ritornello: swelto]
tu che fine farai
non voltarti insieme a me
so che se lo vorrai
mi amerai in solitudine
l’universo è negli occhi
orbitiamo distanti
superando quei blocchi
solo per incontrarci

[strofa 3: pathos]
nel freddo sonno di un viaggio durato cent’anni
non ho smesso per un solo istante di sognarti
il mio cuore più veloce della nave anti materie
che spiegando le sue vele, mi ha portato qui
in questo oceano di stelle, nane supergiganti
fra le nubi silenti, di colori cangianti
attraversando whormhole, le emozioni contrastanti
come quando bruciavamo nell’inverno di vivaldi
note dell’ultimo addio di un’attimo infinito
il tuo respiro era il mio vest-to preferito
mentre l’ologramma ci parlava della morte di ogni mare e fiume
i capitali d’oro, blu di acqua
in mano intelligenza artificiale
creano nostre immagini d’autodistruttiva somiglianza
quinta guerra mondiale o mega bomba all’indrogeno
la mela colse l’uomo, genesi dell’esado
il buio secolo e lo scontro
ciò che ricordo, ti accarezzavo i capelli nello spazio profondo
quando esplose quella luce chiusa nel tuo sorriso
lento aprivo gli occhi in questo paradiso
un gigante g-ssoso e due lune dai colori nuovi
io accanto a ciò che un tempo sulla terra chiamavano fiori
questo popolo ci ha accolto senza un perché
in qualche modo so di averti portata con me

[ritornello: swelto]
tu che fine farai
non voltarti insieme a me
so che se lo vorrai
mi amerai in solitudine
l’universo è negli occhi
orbitiamo distanti
superando quei blocchi
solo per incontrarci

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